Corporal Raid "Manipulating The Host"
Ovvero come si scrive un disco partendo dalla batteria
”Ciao Giova, posso telefonarti un attimo che devo chiederti un paio di informazioni sulla sessione dei Corporal? Sicuramente mi puoi aiutare a ricordare alcuni passaggi… sai, sono passati un sacco di anni”
”Certo, anche adesso”
Questo è più o meno lo scambio di messaggi via Whatsapp tra me e Giova, avvenuto prima di scrivere queste righe. Oltre a fornirmi preziosissime informazioni che mi permettono di ricostruire una sessione che ormai ha nove anni, mi recupera un po’ di foto dell’epoca (risparmiandomi la fatica di fare una ricerca personale nei miei archivi) e mi dà qualche nuovo aneddoto di quel periodo.
Tutte le informazioni utili a mettere giù queste righe me le segno su un foglio di carta, per non dimenticare nulla.
Chi è Giova? Ha fondato i Mindful Of Pripyat, grandissimo gruppo grindcore purtroppo defunto, è batterista degli Stench Of Profit e ora ha un progetto ambient/drone che si chiama Henoa. Con tutti questi gruppi abbiamo lavorato insieme qui al Toxic.
Poi ha un nuovissimo gruppo, si chiama, Fourthsun, fanno post-hardcore. E lo fanno molto bene. In questo caso io, però, non c’entro nulla.
Giova è anche uno dei fondatori del gruppo grindcore/goregrind Corporal Raid, un piccolo culto italiano per quanto riguarda la musica estrema. Il gruppo esiste dal 2001. Verso la metà degli anni zero si ferma e si riforma intorno al 2015, proprio quando inizia la storia di questo album.
È Giova stesso ad accennarmi, verso la primavera o l’estate del 2015, della volontà di fare un album tutto nuovo dei Corporal Raid. Il tutto condito da una proposta un po’ insolita: fare una sessione di batteria senza altri strumenti, senza canzoni scritte, senza alcun riferimento sonoro. Solo un metronomo ed un’idea di minutaggio complessivo da raggiungere per poter realizzare un intero album, attorno ai 30 minuti.
Richiesta insolita, un po’ bizzarra ma io ho fiducia nelle sue idee. Mi piace come suona, mi piace come si rapporta alla musica, mi piace come scrive i brani. È batterista ma, come me, sa usare anche la chitarra per comporre, per arrangiare, per proporre idee.
Fissiamo un giorno a novembre dello stesso anno e quel giorno ci vediamo per preparare una batteria rudimentale nella forma (nessun tom sospeso, solo un timpano, la cassa, il rullante, due crash, l’hi-hat, il ride e l’immancabile china) ma non nella sostanza. Prepariamo anche il metronomo, fisso a 280 BPM (ad eccezione di due brani) e, dopo qualche prova di suono, partiamo con le registrazioni.
Ah, prima di dimenticarmi, una delle peculiarità di molti gruppi goregrind è quella di avere il rullante “a padella”, ossia quel rullante tiratissimo d’accordatura, spesso senza cordiera (quei fili metallici che si trovano nella parte di sotto del tamburo), che genera quella tipica nota lunga e persistente ad ogni colpo dato e registrato. Ma non è questo il caso. Noi qui vogliamo un suono di rullante più “tradizionalmente” grindcore.
Inizia una stranissima ma divertente giornata di riprese di batterie completamente “a vuoto”. Eppure mi sembra già di sentire sotto dei riff di chitarra che seguono il ritmo.. Non c’è nulla eppure è come se stessi ascoltando un brano fatto e finito.
Insomma, fila via tutto liscio come l’olio.
Ma con un rimpianto…
Un paio di giorni dopo Giova mi telefona dicendo che quello che ha registrato gli sembra troppo poco. Che gli mancano quei 10 minuti per trasformare quella sessione in un futuro album e non “solo” un EP.
Lo fa con la solita gentilezza e la calma che ho sempre apprezzato in lui in tutti questi anni. Impossibile dirgli di no, anche solo per questo motivo.
La settimana successiva ci rivediamo e impiego molta attenzione (e anche un po’ di tempo) a fare in modo che la batteria suoni il più simile possibile a quella di qualche giorno prima. Per la batteria in sé la cosa non è difficile, non l’ho più usata per altre sessioni, non l’ho riaccordata, né spostata da lì. Il problema è che, ovviamente, i microfoni li ho tolti. Quando si microfona uno strumento ogni singola angolazione e ogni singola distanza cambiano il suono, molto più di quanto ci si possa immaginare. Con la batteria, dal momento che i microfoni coinvolti non sono quasi mai pochi, questi fattori aumentano esponenzialmente.
Come ho messo i microfoni sul rullante? E i panoramici? Quanto è vicino al battente il microfono della cassa?
Per fortuna ci sono un po’ di foto (e la memoria aiuta, visto il pochissimo tempo trascorso) e il risultato raggiunge una somiglianza con la sessione precedente al di sopra di ogni aspettativa.
Missione compiuta, ora tocca a Giova realizzare materiale sufficiente a coprire quei dieci minuti mancanti. Detto, fatto.
Creo un rough mix, una bozza necessaria per mettere in pausa la sessione del disco e concentrarsi sulla stesura vera e propria del disco. Perché quello che è stato registrato esiste nella forma definitiva, per ora, solo nella testa di Giova.
Mancano chitarre, basso e voci. Praticamente tutto.
Segue un periodo che va da novembre 2015 a febbraio 2016 in cui io sono totalmente estraneo all’intero evolversi della vicenda. La ricostruzione di quanto sto per riportare in questo paragrafo è frutto della telefonata che ho riportato nell’incipit.
Vengono coinvolti per completare la formazione del gruppo Gianluca al basso (già bassista dei Mindful Of Pripyat) e Samuele alla chitarra (all’epoca chitarrista degli Inferno 9).
Sicuramente chi ha a che fare con la musica e si destreggia un minimo con la tecnologia, conosce il software Guitar Pro, vi spiego comunque in brevissimo di cosa si tratta. È un programma per Windows e Mac che permette di creare partiture musicali per diversi strumenti ma è utilizzato principalmente per chitarra e basso, dal momento che è possibile vedere in tempo reale sia tablature (i “numeretti” corrispondenti al tasto del manico dello strumento) che le solite partiture in nota, con relativo riproduttore audio (poco realistico ma molto utile). Ed è piuttosto immediato anche per scrivere le partiture di batteria.
Quello che scopro solo ora, a distanza di nove anni, è che Gianluca ha trascritto l’intera batteria del disco su Guitar Pro, esattamente come è stata suonata! Un’operazione lunga e noiosa, da perderci la testa, ma davvero preziosa.
Man mano che i riff e i giri di basso vengono composti ed arrangiati, le partiture vengono completate e i pezzi prendono una forma definita e definitiva.
Si arriva quindi a febbraio e i Corporal Raid hanno l’intero disco pronto per poter essere completato
Iniziamo quindi a creare il suono della chitarra. Il disco dovrà avere pochissime sovraincisioni, la maggior parte dei brani ruota attorno a due chitarre ritmiche suonate all’unisono in due diverse riprese. E queste due chitarre devono fare la differenza, essendo la parte più importante dell’album.
La mia idea è quella di avere una distorsione molto spinta ma allo stesso tempo di rendere intellegibile quanto più possibile gli accordi e le note di ogni passaggio. Non esattamente una passeggiata visto che la chitarra è accordata in LA e la velocità dei brani è estremamente elevata.
Mi viene l’idea di dividere il suono in tre, uno con un amplificatore valvolare con tanto gain ma anche tanta definizione, uno con un amplificatore transistor carico di basse ed alte frequenze, meno definizione e più “muro” ed, infine, un suono con un amplificatore ed un pedale con le frequenze medie esageratamente spinte, in modo da rendere più “comprensibile” il suono generale anche nei momenti più caotici.
L’idea e la resa piacciono a tutti e quindi possiamo procedere alle registrazioni vere e proprie.
Per Samuele ci sono due importanti aspetti su cui deve concentrarsi. Il primo è l’importanza di suonare entrambe le chitarre con la stessa precisione. Il secondo è prestare estrema attenzione ad ogni singola pausa e ripartenza di batteria. Il disco ne è pieno (è proprio il marchio di fabbrica dell’album).
Senza rispettare questi due parametri non esiste suono che possa aiutare la buona resa delle chitarra. Si passa da quello che considero un “caos ordinato” ad un disastro sonoro.
Lo sforzo non è indifferente ma il risultato viene pienamente raggiunto.
Finite le due sessioni di riprese riascoltiamo tutto con estrema soddisfazione. Missione compiuta.
Tocca a Gianluca, noto per essere una specie di robot al basso, preparatissimo e precisissimo.
Prima di partire ci prendiamo il tempo necessario per trovare il suono ideale. Regola fondamentale: deve essere distorto. Nella mia testa deve suonare quasi come una chitarra, alla fine il basso rimane pur sempre una chitarra, no?!
Quello che conta di più anche qui, manco a farlo apposta, è come suonano le frequenze medie. Di frequenze basse, tanto, ne escono a sufficienza senza sforzarsi con un’accordatura così ribassata. Mi aiuto facendo saturare il suono con una bella dose di distorsione da pedale. Credo di essermi servito del mio fedele clone del Rat, o qualcosa di simile, in combinazione ad una testata per chitarra diretta ad una cassa da basso 4x10.
L’intera sessione vola via con una facilità impressionante ma del tutto prevedibile, viste le premesse.
È il turno delle voci. Prima cosa: i testi non esistono. “Bella merda… un disco di versi!” potreste esclamare. Mi spiace ma è quanto di più lontano dalla realtà si possa pensare di questo album. Ogni singolo “verso” ha un significato. Ogni singola voce (tutti e tre cantano) ha uno scopo in un intreccio creativo davvero unico.
Giova con una voce bassissima, “aliena”, senza l’ausilio di nessun tipo di pitch shifting, Gianluca con un growl più tradizionale e Samuele con una voce più “artificiale” e il leggero ausilio di un pitch shifter (per abbassare la voce di tonalità).
L’alternanza di un continuo botta e risposta velocissimo, con voci dai “colori” diversi, crea un effetto davvero unico e decisamente innovativo.
Ancora non mi credete che dei versi da alieni da videogioco clone di Doom o da film ispirato ad Alien (le due citazioni non sono casuali) siano un valore aggiunto e non una cosa “buttata lì” tanto per riempire le parti strumentali? Le intere voci sono state scritte in partitura! Ogni singola parte è su Guitar Pro e ha un riscontro reale nelle registrazioni stesse. Vi posso assicurare che è stata un’esperienza creativa davvero sbalorditiva, tanto affascinante quanto lo è registrare un brano con un testo carico di significato emotivo o di contenuto.
Ad arricchire il tutto ci sono due grandi ospiti e due persone di certo non nuove allo studio. Una è Tya, che con Giovanni e Gianluca già condivide i Mindful Of Pripyat (e ai tempi era anche cantante degli Hellish God), l’altra è il mio amico Giulio The Bastard (Cripple Bastards/FOAD Records).
Registrare “versi” non è mai stato così creativamente stimolante come in quelle ore.
Abbiamo tutto il necessario affinché io possa passare al mixaggio.
Quando si lavora ad un disco con queste velocità e con la volontà di mantenere pulizia e definizione nel risultato finale è necessario applicare alcune accortezze in questa fase. Macchinose nella realizzazioni ma fondamentali per il raggiungimento degli obiettivi finali.
Per prima cosa c’è da fare un lavoro di trigger alla cassa per prendere i suoni naturali del suono e miscelarli con dei suoni campionati in modo da rendere omogenea l’intensità dei colpi. E poi c’è da “livellare” tutta la batteria, per non farla sparire sotto alle chitarre al basso. Giova è un batterista molto omogeneo ma a certe velocità è letteralmente impossibile reggere il confronto con gli altri strumenti così distorti e presenti.
Altro dettaglio di vitale importanza è quello di rendere molto nitide le brevissime pause all’interno dei brani. Qui ci vuole un bel lavoro di pulizia dei silenzi per togliere tutto il rumore di fondo e creare momenti di reale “sospensione” che fa musica esattamente come quando gli strumenti suonano.
Pulite le pause e “portata avanti” la batteria, il mix viene fuori da solo. Si tratta di bilanciare al meglio gli strumenti tra di loro ed intrecciare in maniera coerente le voci.
Questa fase conclusiva dell’operazione è divertente, facile, stimolante. E funziona, ne sono certo. Anche se manca il riscontro di chi il disco l’ha suonato.
I Corporal Raid sentono, quindi, il mio mix e ne rimangono soddisfatti. Non credo di aver fatto nessun intervento correttivo a quanto gli ho proposto nella prima versione. Che diventa quella definitiva.
Ok, ho scritto sopra che questo disco non ha il rullante a padella, ma rimane pur sempre un disco goregrind. E che disco goregrind è se non ci sono gli intermezzi audio? Detto, fatto!
Si passa alla fase del mastering, che in questo caso significa valorizzare il brutale muro di suono ottenuto col mixaggio. E montare le tracce. Tra di loro e tra di loro e gli intermezzi.
Sono fermamente convinto che anche il processo di mastering, di per sé una fase estremamente tecnica, possa racchiudere un potenziale creativo. Posso portare proprio questo disco come esempio per avvalorare la mia tesi.
La mia idea è che l’ipotetico ascoltatore di questo album debba sentirsi schiacciare e soffocare per tutta la sua durata. Di certo gli arrangiamenti aiutano. I suoni anche. Il tipo di mixaggio, idem. Mi manca un’ultima carta da giocare: la distanza tra i brani.
Distanze brevi ma sufficienti a staccare per un momento tra un brano e l’altro (o tra un brano ed un intermezzo).
Spiego la mia idea al gruppo che approva l’idea, oltre al suono del master.
Il disco va in stampa ed esce con gioia mia, dei Corporal Raid e di chi apprezza il gruppo. Voglio organizzare io stesso un concerto (ai tempi trovavo ancora il tempo per organizzare qualcosa qua e là) di presentazione dell’album. Tutto confermato. Abbiamo la data, il locale, gli altri gruppi della serata. Poi qualcosa si rompe e il gruppo si sfalda. Nel giro di pochissimi giorni.
Il progetto Corporal Raid si ricongela. Rimane solo Giova e il gruppo rimane lì, in un limbo.
Mi piace oggi pensare, mentre scrivo queste righe, che l’entità Corporal Raid si trovi su una nave spaziale cargo in attesa di annidarsi nei corpi di qualche altro essere umano che funga da organismo ospite.
Giova, tu che leggerai queste righe e che più volte hai detto “chi lo sa, prima o poi si farà ancora qualcosa”, ricordati che sarò ben fiero di essere di nuovo l’astronave del misfatto per questo tuo nuovo capitolo della tua personale visione musicale di Alien. Nel caso tu voglia fare un nuovo capitolo della saga.








